Poesia, quella di Nada, diva minorenne e lolita stupenda a 17 anni, quando vinse Sanremo, ora donna consapevole e cantautrice i cui versi, i cui pezzi sono di una potenza pari a quella della sua voce. Costanza Quatriglio ci ha accompagnato nella bella, intensa, tormentata vita di una donna speciale con un documentario che è tra le cose più belle viste quest’anno al Festival di Locarno. Come i due lavori di Roberta Torre- l’Italia migliore è soprattutto donna-, su Pino Pelosi e sui ragazzi (di vita) di oggi. Un tributo, di fatto, a Pier Paolo Pasolini, alla poesia carnale e civile dello scrittore, poeta e regista.

Il mio cuore umano- Ici & ailleurs
Ieri il film Il mio cuore umano di Costanza Quatriglio e il successivo concerto di Nada, protagonista del documentario,  ci ha permesso di sentire il profumo di grande cinema e grande musica. La regista- per intenderci è colei che ha girato il bellissimo L’isola- è entrata nella vita della musicista vedendone i concerti, un incontro e, soprattutto, la lettura del libro omonimo edito da Fazi in cui Nada Malanima racconta il suo piccolo mondo antico di Gabbro, provincia di Livorno, la sua vita, la sua infanzia difficile con la madre adorata e “sciagurata” (vedetelo, e capirete, stupende le sue parole sul loro rapporto), prima del successo, prima che bambina, quindicenne, venga catapultata in treno a Roma per scalare le vette delle classifiche e poi di Sanremo. Se le pagine scritte si fermano su quel vagone, Costanza e Nada vanno oltre. Riscoprono la Nada attuale, moderna e matura, grintosa e rivoluzionaria, la donna consapevole che è diventata quella divetta dalla voce sorprendente, dall’ingenuità inevitabile, dalla bellezza disarmante. Costanza Quatriglio il passato lo fa solo intuire, con foto ben scelte (dai calzettoni a camicie maliziose, dai concerti ai cambiamenti di look) e materiali televisivi di repertorio che la vedono con Ciotti, Arbore, Lippi e Mollica, sempre diversa, sempre piena di carattere, da livornese doc. Tutto il resto lo vediamo per suggestioni, letture, canzoni, le riprese e il montaggio sono curate, la sensibilità narrativa della cineasta è tale anche sul piano visivo, è inevitabile sentire il rapporto speciale tra le due, le corrispondenze, la forza e la delicatezza di entrambe, la sintonia. Una parla di sé, perché l’altra sa ascoltarla.

ITiburtinoterzo e La notte quando è morto Pasolini - Ici & Ailleurs
Roberta Torre fa fatica ad essere banale, ed è uno dei suoi maggiori pregi, persino quando sbaglia completamente film (accadde proprio qui a Locarno, in concorso, con Mare nero). Perché sa rischiare, come fece con l’esordio Tano da morire e la sua “mafia” che fece impazzire Venezia, col musicale Sud Side Story, con Angela, melodramma in cui puntò e scoprì quel gran talento di Donatella Finocchiaro. Qui ci offre due opere brevi, che in tutto contano 53 minuti, che inizialmente erano materiale di studio per un’opera teatrale (che si farà, con protagonista il grande attore del Teatro Ragazzi Claudio Casadio) e divenuti poi cinema, e di alto livello. Lavori diversi ma idealmente complementari grazie al nume tutelare Pasolini, il primo è un indagine sui ragazzi di vita moderni. Sui piccoli criminali dopati da cocaina e tv, dall’immaginario collettivo devastato degli ultimi trent’anni, su una banlieue romana, il quartiere Tiburtino Terzo appunto, in cui il disagio ha fisici palestrati, salopette a pelle, sogni Dolce e Gabbana, voglia di bella vita a tutti i costi. Non c'è più l’Accattone di una volta (splendida, più di quelle di tanti critici importanti, la recensione del film di Daniele, detto Er Porpo, il più carismatico di questi ragazzi, acuto e poetico anche quando dice “Ammazza, Pasolini era forte”), e Roberta Torre indaga con e dentro di loro la condizione moderna di quella generazione a cui ha sempre parlato PPP, intellettuale contro, profetico e ossessionato dal “salvare” chi, forse, poteva per motivi anagrafici essere salvato. Pipistrello, Emilianino, Rotolini e tutti gli altri con i loro improbabili soprannomi, sempre motivati da condotte di vita sbagliate e sballate (ma forse inevitabili, lì e ora), si autorappresentano con teatrale sincerità. E la Torre li incalza con bravura. Così come fa con Pino Pelosi, in La notte quando è morto Pasolini. Vuole sapere, capire, e in fondo tenere aperta la ferita del mistero irrisolto di quel 2 novembre 1975. Come lei stesso lo definisce, Pelosi è un “Giuda”, ma il sospetto lancinante che non fosse solo o che addirittura fosse solo testimone e poi capro espiatorio di quell’omicidio, è una certezza da sempre.

 

Shopping24